Alla radice del vizio… è nato prima l’uovo o la gallina?

Da Pentagrammi, la rivista barese di cultura musica arte ambiente e società diretta da Adriana De Serio, estrapoliamo quest'articolo di Felice Laudadio su quello che è stato l'ultimo (2003) lavoro editoriale del prof. Vito Lozito: «Alla radice del vizio. Immagini, simboli, motti».

Alla radice del vizio… è nato prima l’uovo o la gallina?
Più di una ricerca, più di un libro: un lavoro monumentale. Un anno prima della scomparsa, il professor Vito Lozito, docente barese di Storia della Chiesa, aveva completato uno studio tutt’altro che «matto e disperatissimo», per quanto certamente impegnativo, al quale aveva dedicato non sappiamo quanto della sua maturità, ma certamente non poco, visto il risultato. 

Si tratta di un saggio sapienziale pubblicato da Levante nel 2003, «Alla radice del vizio. Immagini, simboli, motti» (394 pagine), un volume che non passa inosservato, allestito dalla casa editrice barese con un’elegante copertina imbottita. Vi viene rappresentato un polpo, a tutta prima e quarta, disegnato da Michele Cramarossa, che suggerisce con i suoi tentacoli la lenta ma inesorabile «stretta» con cui attanagliano la preda i terribili sette: la superbia, l’accidia, l’ira, la lussuria, la gola, l’invidia, l’avarizia. 

Il professor Lozito, nato a Bari nel 1943, aveva studiato nel mitico liceo classico barese «Orazio Flacco» e dopo la laurea in lettere e filosofia aveva insegnato italiano, latino e greco, in diversi istituti statali, avviando dal 1973 la carriera universitaria con la docenza di Storia della Chiesa e, dal 1992, di Storia medioevale. Sono entrambe materie che entrano a pieno titolo nel suo coltissimo lavoro, fornendo le citazioni di autori e pensatori antichi e medioevali, motti e modi di dire che punteggiano le dotte considerazioni e le approfondite incursioni letterarie di cui il cattedratico si è reso attento autore. 

Sotto esame: il vizio, in tutti i suoi aspetti. «Si presenta in varie forme: è uno e centomila e ciascuno è comprensivo di tutti gli altri». Gola e lussuria, in particolare, vanno di pari passo. Crapula ed eros, cibo e sessualità, erano strettamente legati secondo l’antichità. Ricorrono, ad esempio, nel più riprovevole degli atti riprovevoli: la dedizione al demonio. I resoconti dei sabba, in cui le streghe si dedicavano a sfrenate congiunzioni carnali con diavoli, altri adepti ed anche donne, insistono sulle abbondanti e ricche libagioni precedenti, nelle quali il vino non poteva che scorrere a fiumi. 

Nel passato si è insistito molto sui banchetti, come prologo e scenario delle lascive unioni carnali stregonesche, ma va considerato che tanto i racconti dei sabba, che i particolari sul cibo abbondante e le orge venivano per lo più originati da affabulazioni, suggestioni, fantasie provocate da disturbi mentali o anche dalla fame. C’erano poi le ammissioni estorte dagli inquisitori: pur di far cessare le torture, le malcapitate finivano per confessare qualunque atto riprovevole, a costo di inventarlo di sana pianta, come i loro inflessibili interlocutori avrebbero voluto. 

Autentici o inventati che fossero, quegli accoppiamenti «bestiali» restano quanto di più lontano si possa immaginare dalle «tentazioni» delle grazie muliebri, per resistere alle quali saggi e religiosi consigliavano di mortificare la carne col fuoco e coi tormenti, ma soprattutto di ricorrere al digiuno. 

Un suggerimento per molti versi efficace – ma non del tutto, vedremo – perché l’insufficiente alimentazione avrebbe esercitato un effetto salvifico, dal momento che il deficit calorico rappresentava evidentemente un anti-eccitante naturale. Contro le sollecitazioni del maligno e le tentazioni della lussuria, i padri della Chiesa intimavano di punire il corpo con l’assoluta continenza nei pasti, rinunce, penitenze, fioretti, ma si poteva arrivare agli estremi degli eremiti del deserto, che si sottraevano al tentatore aborrendo carne e vino e limitandosi a nutrirsi di scarne pappine di cereali macerati in acqua e di pane raffermo bagnato. 

Sant’Antonio Abate andava oltre, concedendosi solo un tozzo di pane ogni due o quattro giorni, con appena un pizzico di sale e un niente d’acqua. Tanto gli fu sufficiente, comunque, per raggiungere la tarda età; come Sant’Ilarione di Gaza, che superò gli ottant’anni, assumendo, dai ventisette anni, esclusivamente succo d’erbe ammollate, qualche fico secco, poca farina e gocce d’olio. 

Lungi da noi moderni la volontà di limitare la libertà di farsi del male da soli, ma non si può fare a meno di considerare che proprio l’insufficiente potere nutritivo di queste poverissime diete poteva esporre gli inveterati digiunatori a stati di allucinazione popolati da fiorenti fanciulle, dedite a non altra occupazione se non mettere alla prova la saldezza degli asceti con pratiche sinuose di eccitante lascivia erotica. Altro che: più del maligno, spesso poté la fame. La deprivazione del cibo.

Vale il paradosso, quindi, che più si rifuggiva dalle tentazioni imponendosi il digiuno, più la fame finiva per favorirle, non risparmiando nemmeno i più rigorosi, a quanto si vede. Insomma, il rimedio alla lascivia era la causa stessa delle provocazioni sessuali. Molto ma molto controproducente, seppure in nome delle più elevate motivazioni. Virtuosissimo autolesionismo. Altra curiosità, tra le tante. 

Particolarmente severa la posizione di Plutarco sull’ alimentazione carnivora, che riteneva alla pari di un vizio e comunque «un assassinio». Ha dedicato al «vizio» un trattato sugli animali, «Del mangiar carne», in cui si legge: «mi chiedo, stupito, con quale sentimento, stato d’animo o in base a quale ragionamento, il primo uomo abbia… chiamato pietanze e nutrimento quelle parti che poco prima muggivano, emettevano voci, si muovevano, vedevano il mondo».

Ante litteram, potremmo iscriverlo nella categoria moderna dei vegetariani e forse dei vegani, ma nel secondo caso occorrerebbe conoscere il suo parere sui derivati, le uova ad esempio; per far questo bisognerebbe prima risolvere il paradosso, anche da lui citato: è nato prima l’uovo o la gallina?


PENTAGRAMMI n. 37 - CULTURA musica arte ambiente società - febbraio 2020


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Tag: felicelaudadio, vitolozito

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